Zio Toti

di Mario Scialoja

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Questo acquarello mi è particolarmente caro per due motivi.
Perché è il primo regalo ricevuto da zio Toti nel Natale 1941, quando avevo poco meno di due anni.
Poi, perché è il primo disegno per l’infanzia fatto da Toti. 
Capostipite di una lunga produzione che ha illustrato i suoi nonsense e limerick basati su giochi linguistici con animali protagonisti: topi, topini, cavallette, corvi, bisce, vespe, gufi, zanzare, ippopotami, farfalle… E tutto il resto dell’ampio bestiario col quale ha saputo popolare i suoi divertimenti poetici.

Nelle foto scattate nel dicembre 1940 a Villa Borghese, Toti ventiseienne gioca col nipote di dieci mesi, che ero io.
Naturalmente di quegli anni non ho ricordi precisi. Il primo ricordo chiaro di mio zio è facilmente databile, perché risale a uno o due giorni prima del referendum Repubblica – Monarchia del 2 e 3 giugno 1946.
Stavamo nel grande appartamento di Gustavo e Ada, genitori di Toti e di mio padre Enrico, a un piano alto di un palazzo in Via di Porta Pinciana. Io partecipavo con infantile entusiasmo al tifo di tutta la mia famiglia per la Repubblica.
Volendo dare un fondamentale contributo alla causa, ritagliai centinaia di quadratini di carta, suscitando un certo fastidio di mia nonna causa disordine provocato, su cui scrivevo in stampatello “VOTA REPUBBLICA”. E, dopo averli piegati a farfalla, li buttavo dalla finestra.
 Campagna elettorale.
A un certo punto sbucò fuori dal suo “antro”, così chiamavano una parte distaccata dell’appartamento alla quale si accedeva da uno stretto e buio corridoio (che mi faceva una certa paura), zio Toti che lì abitava. Mi vide affaccendato e chiese “che sta facendo Ciccio ?” (così mi chiamavano da bambino).
Qualcuno gli rispose: “Volantini elettorali per la Repubblica”. Lui fu subito interessato e, avvicinandosi al mio tavolo da lavoro, mi disse: “Ti aiuto io…facciamo così”. Su ogni foglietto, sopra la scritta, disegnò una farfalla stilizzata e piegò la carta, molto meglio di me.
Tanto bene che molte di quelle farfalle prese dal vento finirono, inefficaci, oltre la strada, nei giardini di Villa Medici.

Ma per me la giornata rimase memorabile e l’ammirazione per quel Toti affettuoso e giocoso salì alle stelle.

Negli anni della mia infanzia zio Toti mi portò varie volte allo zoo, dove, imitando gli animali nelle gabbie, faceva sbellicare, oltre a me, torme di altri bambini. Suscitando spesso la mia gelosia.

Parecchio tempo dopo, quando cominciai a scrivere sull’Espresso, era affettuosamente interessato ai miei articoli e ogni tanto mi telefonava per commentarli.
 Una volta che avevo fatto una lunga inchiesta sul perché l’aviazione alleata non aveva bombardato le linee ferroviarie che portavano ai campi di sterminio nazisti, la apprezzo in modo toccante e certamente sincero. Mi invitò a cena per congratularsi e come “premio” mi regalò una bella litografia.

Negli anni ’70 mi aveva anche invitato un paio di volte a Procida, isola delle nostre origini familiari, alla quale era molto affezionato.


Affittava regolarmente in estate una casetta di contadini isolata in una grande foresta di limoni. Una volta portai con me due miei cari amici più giovani, Raimondo Innocenti e Paolo Mieli. Ci accampammo sotto i limoni e passammo tre giorni di pura giocosa goliardia, durante i quali Toti si divertì molto, a suo agio come un pesce nell’acqua.
A proposito di acqua, in occasione di un’altra mia visita a Procida ci fu la sfida natatoria.
 Bisogna sapere che da ragazzo Toti aveva fatto nuoto agonistico, purtroppo non so con quali risultati.
Fatto sta che amava molto nuotare e mi raccontava che faceva anche il periplo dell’isola. Rimanevo scettico e allora lui mi impose di andare in acqua assieme. Nuotavo bene anche io per aver passato infanzia e adolescenza in mare, però dopo un po’ le lunghe nuotate mi annoiavano.
Ci buttammo e procedemmo affiancati, ma dopo tre quarti d’ora di bracciate mi stufai (come previsto) e dichiarai forfait, approdando sugli scogli. Lui continuò, non so quanto.
 E, quando ci ritrovammo a casa, mi disse che non aveva fatto tutto il giro. Forse una delicatezza, non voleva infierire.

Qualche volta (troppo raramente, penso adesso) lo andavo anche a trovare nel suo affascinante studio a Palazzo Costaguti, in Piazza Mattei.
Di solito era inzaccherato di colori e, su grandi tele o fogli di giornale stesi per terra, dava larghe pennellate e lanciava spruzzi con ampia gestualità.
Avevo l’impressione che le mie visite gli facessero piacere. A me lo facevano certamente, anche se ricordo di essere stato sempre indaffarato ed ho il rimpianto di non averle prolungate di più.

Più tardi, dopo la morte di mio padre e di mia madre, i rapporti con Toti si estesero alla mia famiglia. Assieme a Gabriella veniva a cena da me la sera di Natale e, a volte, il giorno del mio compleanno.
E ogni nascita delle mie figlie e di mia nipote fu una gioia sincera per Toti e occasione di versi scherzosi e dediche a base di topi e topini, cani e gatti.

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