In un dirimente saggio critico apparso un anno dopo la Liberazione di Roma (“Significato e attualità del nostro ‘decadentismo’ pittorico”, Mercurio, maggio 1945) Toti Scialoja motiva la sua scelta poetica figurativa e traccia una corrispondenza estetica con gli interpreti del ‘decadentismo’ inteso come quasi religiosa ‘ricerca di sé’, al punto che dipingere ‘non è altro che raccontare e riscattare per amore la propria esistenza’.
Grazie a questa radice espressiva -sull’ esempio di Morandi, Mafai e Scipione- Toti Scialoja individua un originale ‘impressionismo d’animo’ rispetto alla contemporanea pittura francese (limitata dalla ‘elegante putrefazione del surrealismo e dalla gelida sterilizzazione dell’astrattismo’) che rende la pittura italiana più libera di ‘creare immagine figurativa, e cioè di fare arte’.
Il ‘decadentismo pittorico’, così inteso da Toti Scialoja come spazio morale di libertà creativa, diventa una pietra di paragone che accompagnerà la sua opera figurativa fino ai primi anni Cinquanta. E sarà anche il contrassegno di un’ intensa passione civile che lo distinguerà dalla critica militante del PCI che in arte privilegiava l’ impegno ideologico ed il contenuto ‘come unico criterio di giudizio’.
Significato e attualità del nostro ‘decadentismo’ pittorico